BENE.
Intanto perché si è fatto. E nulla è scontato che accada, ultimamente. Ma ne abbiamo già parlato.
Poi perché si è adattato. Senza pubblico, ma con i volti di tanti tifosi che hanno registrato saluti e balletti da casa loro per poi rivedersi sui megaschermi dietro il canestro. Tengono compagnia e l’idea non può che essere apprezzata da tutti. Se poi c’è il momento che sembra manchi qualcosa, ci pensa Kyle Montgomery a riempire il vuoto, quando ti accorgi che dovrebbe commentare una giocata sul campo e invece si è perso sulle note di una canzone di Beyoncè.
Infine bene anche per le squadre, Utena su tutte, prima nel suo girone da dodicesima testa di serie, Amsterdam e Jeddah, sorprese “annunciate” di queste finali, e Novi Sad, che senza Dusan Bulut, si merita il classico giudizio del tipo: “i ragazzi hanno studiato, ma potrebbero fare di più”.

MOLTO BENE.
Per Liman e Riga.
Sappiamo quanto il 3×3 sia uno sport imprevedibile e, paradossalmente, la finale di quest’anno sembra già scritta. Entrambe escono dal loro girone a punteggio pieno, entrambe segnando molto e rischiando parecchio, entrambe con qualche asso nella manica da tirar fuori nei momenti di difficoltà, nello specifico l’asso di denari, quello che vale da più, Stojacic per i serbi e Lasmanis per i lettoni.
Li aspettiamo entrambi all’ultima partita del torneo, e se poi non succede, non ci dispiacerà nemmeno troppo, perché le sorprese ci stuzzicano di più.

Foto dal sito FIBA3x3

POTEVA ANDARE MEGLIO.
Per Losanna e Ulaanbaatar, i primi perché danno spesso l’impressione di poter fare un importante salto di qualità, senza poi accorgersi che gli manca qualcosa, e forse questa volta mancava il quarto giocatore. I secondi perché riscuotono tifosi e simpatie ovunque, e quando tifi per una squadra che non è mai tra le favorite, non puoi che immaginarti una splendida favola con il buzzer beater in finale di Davaansabuu. E invece niente, toccherà aspettare le olimpiadi.
Anche per Harlem. Potrebbe andare meglio, dovrà andare meglio. Squadra indecifrabile, a tratti spettacolare, ma che non sembra concretizzare l’enorme potenziale che ha disposizione. Ora che l’ho detto, vediamo se “Disco Domo” mi risponde sul campo.

NON CI SIAMO.
Dai oh.
Quando giocavo in propaganda mi allenavo con pettorine migliori, e quando sceglievo il completo per andare al campetto facevo meglio anche lì. Non ne farò una polemica (per ora…), ma sulle divise da gioco proprio non ci siamo. Il passaggio da Nike a Wilson non ha cambiato nulla, se non addirittura peggiorato la situazione, vedendo cos’hanno fatto con Piran, per esempio (e non ditemi che sono una squadra vecchia e avevano bisogno delle scritte grandi per vederci meglio, perché l’ho già pensato, ma non regge).
Poi, per carità, i giocatori non sputeranno certamente nel piatto dove mangiano, ma se dietro di loro vedono un ricco arabo che fa aperitivo con champagne e caviale seduto sulla sua poltrona di pelle, e poi in campo si vestono con quella roba lì, si faranno delle domande?

Brent

In Italia lo abbiamo conosciuto guardando le sue giocate sopra il ferro con la maglia dei “Kings of Kings”, all’estero si è guadagnato fama e rispetto da tutto l’entourage di FIBA 3×3, diventando il capitano del “Team Lausanne”.

Westher Molteni, nato a Santo Domingo e cresciuto in Svizzera, è un giocatore con notevolissime dote atletiche sul campo e un ottimo acume tattico, ormai specializzato proprio sul 3×3, grazie alla sua esperienza ad altissimi livelli. Il suo impegno dentro e fuori dal campo ha fatto sì che il team svizzero diventasse una costante affermata nelle principali vetrine mondiali tra cui, su tutte, il World Tour di FIBA.

A pochi giorni dalla finale di Jeddah (FIBA ne parla qui), che concluderà un WT sicuramente inedito, considerando l’andamento di questo 2020 in tutto il mondo, ho scambiato due chiacchiere con “King Wes” per conoscere le curiosità della sua squadra e le sue impressioni in vista dell’ultimo evento dell’anno.

Prima dell’inizio di questa stagione, dunque prima dell’inizio della pandemia, ti aspettavi di riuscire a poter partecipare a qualche evento ufficiale 3×3 FIBA?

Ci aspettavamo, soprattutto speravamo come team, di poter partecipare a qualche torneo verso settembre. Con l’arrivo del Covid, sapevamo che tutti gli eventi in programma d’estate sarebbero saltati, e abbiamo comunque continuato a tenerci in forma per essere pronti alle prime tappe del World Tour.
Arrivare alla finale era uno dei nostri obiettivi e abbiamo subito colto l’importanza di partecipare ai primissimi tornei in programma per poterci qualificare, essendo consapevoli di tutte le incertezze causate proprio dalla pandemia. Così siamo arrivati all’ultimo master, quello che si è svolto a Doha, con il biglietto per Jeddah già in tasca, potendo quindi concentrarci sul consolidamento del nostro gioco senza la pressione del risultato.

Il Covid ha condizionato le squadre che hanno partecipato al World Tour di quest’anno?

Assolutamente. Dal punto di vista della qualità, il discorso è un po’ uguale a quello degli altri sport. Le limitazioni nell’utilizzo delle palestre o negli spostamenti hanno ridotto al minimo indispensabile il numero di allenamenti che una squadra riusciva a fare, e nel 3×3 non c’è tanto da allenare.
Serve giocare tante volte insieme per trovare la chimica perfetta.
A noi è ancora andata abbastanza bene, essendo la Svizzera più piccola di altri stati, e dunque non era così difficile trovare dei momenti per giocare insieme. Pensa però alle squadre americane come Harlem o Princeton, che hanno giocatori provenienti da stati diversi e che già in condizioni normali, riescono a combinare pochi allenamenti all’anno, quest’anno è stato praticamente impossibile.

Discorso diverso invece per quel che riguarda il numero di giocatori a roster. FIBA concede un massimo di sei giocatori per squadra, senza alcuna possibilità di cambiare un componente, una volta che quest’ultimo viene iscritto e registrato sul FIBA Planet. Nemmeno con il Covid ci sono state deroghe in merito, e molte squadre hanno immediatamente registrato sei atleti per la propria squadra, in vista delle prime tappe che erano molto ravvicinate.
Di contro però, si sono trovate all’ultima tappa senza poter sostituire giocatori che, nel mentre, hanno riscontrato numerosi problemi legati all’imprevedibile situazione che abbiamo vissuto nei mesi autunnali; al contrario noi siamo partiti in quattro dalla prima tappa, lasciandoci sempre un discreto margine di manovra per poter sopperire ad eventuali assenze anche modo strategico, potendo scegliere chi ci mancava in un preciso ruolo.

Come team, cosa cercate di fare ogni anno, per migliorarvi?

Per migliorare sul campo è molto semplice: serve organizzare più allenamenti possibili per arrivare a trovarsi l’uno con l’altro in ogni situazione di gioco. Questo aiuta molto a mantenerci abituati al modo di giocare del 3×3 in generale e, ovviamente, al nostro modo come “Team Lausanne”.

Muoversi per gli allenamenti, così come per partecipare ai vari tornei, ha un costo piuttosto elevato, soprattutto per certi eventi che non sono di facile portata per noi. Quindi ciò di cui ci stiamo maggiormente occupando negli ultimi anni è la ricerca di sponsor che possano aiutarci a mantenere in piedi la squadra, così da poter far fronte alle spese e, allo stesso tempo, continuare ad essere competitivi.
Il più classico degli esempi è quello degli allenamenti organizzati con altre squadre europee nel circuito del World Tour, forse il modo migliore per alzare con costanza il nostro livello di gioco, ma sicuramente anche quello più caro rispetto al giocare con squadre locali, qui in Svizzera.

Inoltre stiamo prendendo spunto dalle squadre di 5vs5 per formare uno staff competente e che ci possa mettere nelle condizioni fisiche ideali per partecipare ad un torneo. Ci stiamo strutturando grazie a figure importanti come fisioterapisti o nutrizionisti, più l’aggiunta di alcuni sponsor che ci forniscono le attrezzature migliori per il recupero tra una partita e l’altra o alla fine di un evento.

Quest’anno, nelle 4 tappe master del WT, si è vista qualche sorpresa di squadre quasi sconosciute che hanno battuto squadre ben più note nel mondo 3×3.
Pensi che stiamo andando verso un cambio generazionale che vedrà questi nuovi team superare quelli a cui siamo abituati da anni?

In realtà lo dicevo già dall’anno scorso, sia riguardo ad alcune squadre che lentamente stanno uscendo dal palcoscenico mondiale come Lubiana e, da quest’anno, anche Piran, avendo giocatori che sono ormai abbastanza in là con l’età, sia riguardo a nuovi team che stanno crescendo a vista d’occhio e che stanno già provando a rubare la scena alle solite Liman o Novi Sad.
Per fare degli esempi, dalla Lituania (ne abbiamo parlato qui) sono uscite delle compagini molto competitive fin da subito, che non hanno avuto bisogno di troppo tempo per abituarsi al livello del WT, mentre mi viene in menta Jeddah, in continua crescita da diversi anni, e ormai pronta e giocarsi ogni master contro qualunque squadra si trovi di fronte.

Anche noi stiamo seguendo lo stesso percorso della squadra araba e sono personalmente contento che stia avvenendo questo cambiamento perché, anche per chi ci segue, non è più scontato che a giocarsi la finale siano sempre le solite squadre, ma tutto può succedere.

Un tuo pronostico sulla finale del World Tour?

Per me la favorita è Riga. poi c’è Liman subito dietro e che sicuramente se la giocherà fino alla fine, ma vedo la squadra lettone più completa rispetto a tutte le altre. Novi Sad non mi ha convinto molto negli ultimi master e inoltre giocheranno queste finali senza Dusan Bulut, però sappiamo tutti che è una squadra con moltissima esperienza e, soprattutto, abituata a vincere.
Secondo me bisognerà stare anche molto attenti alle sorprese che, come dicevamo prima, hanno caratterizzato le ultime tappe del WT. Le squadre che giocheranno la finale sono praticamente le stesse che hanno fatto gli eventi master di quest’anno, tutti ormai si conoscono molto bene e la crescita di molti team tende sempre di più verso l’alto, tutti ingredienti utili a rendere questa finale forse la più imprevedibile di sempre.
Poi non sarebbe male se, tra una delle sorprese, ci fossimo anche noi!

Brent

È una tendenza personale, penso abbastanza comune a tutti.
L’arrivo del freddo invernale, nel periodo dell’anno più lontano dalla stagione dei tornei, ci porta quel tipo di nostalgia che riaffiora svariati ricordi delle giornate passate ai campetti. Ricordi belli, brutti, alcuni particolari che nemmeno pensavamo ci tornassero in testa, che ci incuriosiscono, che portano a sforzarci un po’ di più per far venire in mente com’era andata nel dettaglio.
La pandemia, quest’estate, ha interrotto la striscia di finali nazionali organizzate da FISB che andava avanti dal lontano 2011, togliendo a molti ballers un appuntamento fisso che ha profondamente condizionato la crescita e gli sviluppi del movimento 3×3 in Italia.

Quindi, per cercare quei ricordi, bisogna fare un salto un po’ più lungo nel nostro passato, e se si prendono male le misure del salto, si rischia di finire in quell’assurda volta che…

…C’erano i controller e le partite erano auto-arbitrate.

“Ragazzi, vi avverto, se continuate così, prendo il fischietto e vi arbitro io”.
C’è l’attimo in cui il ragazzo, incastrato per qualche birra in cambio dallo staff del torneo, brama pieni poteri sulla partita in corso e vuole dimostrare il suo carattere forte e deciso.
E poi c’è l’attimo un secondo dopo l’aver pronunciato quella frase, dove, lo stesso ragazzo, si rende conto di essersi appena rovinato i successivi 5 minuti del pomeriggio, oltre ad essersi condannato per una buona mezz’ora dove discuterà con il lungo di una delle due squadre, cercando di convincerlo che prendere la palla dopo aver preso braccio, mano, naso e occhio, è comunque fallo.

In molti tornei ci si affida ancora al fair play, un concetto tanto positivo quando si sposa perfettamente con l’idea di festa e amicizia che condiziona un evento di 3×3, quanto altrettanto difficile da gestire quando la competizione messa in campo è troppa e i giocatori non hanno sufficiente lucidità per auto-arbitrarsi.

Così è stato nei primi anni di FISB finals, con le squadre di tutta Italia che si incontravano per la prima volta e ancora molti giocatori e amici di oggi, che non si conoscevano. Si partiva con i gironi dove uno dei tanti obiettivi era guadagnarsi il rispetto come baller, e chiamare per sé troppi falli non era dunque un’opzione valida. Discorso assai diverso nella fase ad eliminazione diretta: un fallo a favore può essere decisivo per la vittoria, se vinci vai avanti, se perdi hai finito il torneo.

Ed è proprio lì che iniziano i momenti di enorme difficoltà per il ragazzo citato prima, che poi, chi è stato organizzatore di un qualsiasi torneo, potrei scommettere che è stato anche QUEL ragazzo…

Foto da FISB

…Si giocava con il “sei”.

S’intende il pallone, ovviamente.
Un po’ meno ovvia è invece la questione sul peso e la misura del pallone che si usa nel 3×3, soprattutto per chi è alle prime armi con questa nuova disciplina.
“Questo pallone è più piccolo”.
“Sì, cioè, pesa come un sei mai è grande come un sette”.
“No no, secondo me è più piccolo”.
“Esatto, ti sto dicendo che pesa come un sei ma è grande un sette”.
“No, ti sbagli. Guarda…”
Due airball da fuori, una mattonata sul tabellone e una serie di finte e giochetti tenendo la palla con una mano sola. Vorresti spiegargli che è anche per le scanalature che avviene tutto ciò, ma sarebbe troppo complicato.
Prima o poi si convincerà, forse…

Eppure c’è stata quella volta che il pallone era effettivamente più piccolo. Era in un periodo di piena sperimentazione per FIBA, che sconvolse il fronte maschile del 3×3, senza esaltare invece quello femminile dato che, prima del pallone unico, c’era ancora la distinzione delle due misure che accontentava tutti.

Giocare con il sei non era poi così male per chi faceva del ball-handling la sua arma migliore, era abbastanza apprezzato dai lunghi che potevano provare le stesse sensazioni di Shaquille O’Neal nel tenere la palla con una mano, era invece la peggior cosa potesse mai accadere a un tiratore. Immaginate un giocatore che si è allenato per nove mesi a tirare sempre con la stessa palla, nella sua palestra, prendendo i dovuti riferimenti con il canestro, e si ritrova in riva al mare, col vento, gli ombrelloni dietro il tabellone, e la palla che pesa di meno.

Nel 2016, FIBA risponde alle numerose lamentele ricevute, mettendo in campo il pallone Wilson che usiamo tuttora. Ciò che è successo prima, però, rimarrà comunque nella storia, nel bene e nel male.

Nel “male che veramente, dai, non scherziamo”, è successo anche questo.

…C’era il check prima di ogni azione.

DI OGNI AZIONE.
Pensate al 3×3 di oggi, rapido, frenetico, estenuante, senza pause se non per un fischio dell’arbitro. Pensate alla fatica di un lungo che si trova accoppiato con un piccolo oppure deve uscire dall’area prima dell’avversario per un canestro veloce, pensate alla fatica di un piccolo che, dopo aver segnato da dentro l’area, deve aver fortuna nel trovare subito il giocatore rimasto libero per non concedergli un comodo tiro da fuori.

Adesso immaginatevi l’esatto contrario, che corrisponde esattamente a come tutto è iniziato alle prime FISB finals, qua in Italia.

Un modo di giocare lento, statico, talvolta monotono a causa delle poche soluzioni che si potevano trovare in attacco, con un equa distribuzione dei tiri tra i lunghi, che facevano a sportellate in post, e i piccoli che tiravano sugli scarichi.
I più nostalgici ricorderanno il dominio, nei primi anni, dei “Wizze&Lozze”, caratterizzato dalle giocate in post del gigante Patrice Temoka, l’energia infinita di un giovane Joao Kisonga, e le mani educate di grandi tiratori come Andrea Cerri, che hanno portato, alla squadra toscana, i primi due titoli nazionali assegnati da FISB.
(qui le foto di tutti i vincitori delle finali targate FISB http://www.fisb-streetball.it/hall-of-fame/)

Foto da FISB

Ma cosa c’era di così diverso, da far sembrare il 3×3 di una volta, uno sport quasi completamente diverso da quello di oggi?
Il check.
Sempre.
Dopo un canestro, dopo un cambio di possesso, dopo che uno andava in bagno, dopo aver ordinato una birra, dopo i pasti. In un momento di confusione, fare un check con l’avversario poteva essere la cosa più giusta, metteva d’accordo tutti, faceva riprendere fiato, il piccolo tornava a marcare il piccolo e il lungo tornava a marcare il lungo, il primo non rischiava di trovarsi in situazioni spiacevoli dentro l’area, il secondo montava una tenda con l’avversario nello spazio dove oggi c’è disegnato lo smile.

Poi le cose sono cambiate, il 3×3 è diventato lentamente quello che vediamo e giochiamo oggi, dove per competere ad alti livelli, devi essere un all-around player dal punto di vista tecnico e fisico, devi esser capace di fare tutto, e farlo pensando in fretta.
Ricordiamoci però da dove siamo partiti, che magari non eravamo ancora così bravi a fare quel “tutto”, ma per fare il check, eravamo tutti fortissimi.

Brent

È normale, prima di tutto, pensare al perché non se ne parla da parecchio tempo.
È normale, come prima risposta, pensare alla pandemia e a tutto ciò che ne sta conseguendo negli ultimi mesi, in tutto il mondo, in tutti gli sport.
È vero, ma non ci basta. I limiti che ostacolano la diffusione del 3×3, soprattutto in Italia, sono ancora molti, al pari, quantomeno, dei potenziali fattori che potrebbero invece spianare la strada a questa strana versione, ma sempre più apprezzata, della pallacanestro.

Bisogna quindi tornare a parlarne, a discuterne, a progettare il futuro di qualcosa pronto ad esplodere, con il dubbio sul “quando” e non sul “se”.
E bisogna farlo guardando, leggendo, scherzando con le persone che conosciamo da tanto tempo ed appassionando nuovi possibili addetti ai lavori, il tutto con un bicchiere di vino rosso, che adesso fa più stagione della birra.

Perché non ci siamo dimenticati come si fa.

Vivere il 3×3 è un po’ come andare in bici, basta imparare la prima volta, poi non ti dimentichi più come si fa. Puoi cadere qualche volta, così come puoi riuscire ad andare senza mani e in ogni caso, inizierà a piacerti fin da subito.
Un’estate a stare fermi non significa aver dimenticato come si organizza un torneo, come lo si gioca e in generale come lo si vive. Gli anni passati, erano proprio i mesi di novembre e dicembre dove si cercava di prendere una pausa dal pensiero fisso in testa di quel basket giocato a metà campo. Con lo scatto dell’anno nuovo, iniziava il nostro calendario dell’avvento dove sui social e con il passaparola tra colleghi, uscivano, poco alla volta, le novità su quella che sarebbe stata la stagione estiva dei tornei.
Quest’anno, di tempo per non pensare al 3×3, ne abbiamo avuto fin troppo, e di tempo per organizzare qualcosa la prossima estate, potrebbe servicene molto di più, poiché l’incertezza su molti aspetti sarà ancora padrona almeno nei primi mesi del 2021.
E dato che non ci siamo dimenticati come si fa, parliamone, ora.

Bayer FISB italian tour 2019

Perché il 3×3 sarà anche un altro sport, ma è pur sempre basket.

E il basket ci piace davvero un sacco. Ce ne siamo accorti ancor di più quest’anno, che ce l’hanno tolto per molto tempo, dappertutto, da giocare e da vedere. Poi è tornato, a singhiozzo, lentamente, con pochissime certezze, ancor meno privilegi rispetto ad altri sport, e soprattutto con quel velo di paura del possibile contagio del virus.
La passione però è rimasta intaccata e la voglia di giocare ci fa resistere a fatica dallo stare lontano dal campo; quando ci si avvicinerà pian piano alla normalità, anche nel mondo sportivo, il desiderio di passare del tempo con una palla in mano e qualche amico, sarà ancora più forte degli anni precedenti.
Dobbiamo dunque arrivare preparati a quel momento e non possiamo fingere che il 3×3 non esista, ma nemmeno darlo per scontato.
Il 3×3 svolgerà infatti un ruolo fondamentale nella ripresa della pallacanestro in generale, dai “minors” in astinenza ai professionisti in cerca di visibilità, da chi vuole tornare a vivere l’aria di festa di un torneo a chi necessita nuove sfide e competizioni per alzare il suo livello di gioco.
Dobbiamo arrivare preparati, appunto… Quindi parliamone, ora.

Bayer FISB italian tour 2019

Perché ci ricordiamo dove eravamo rimasti?

Era inizio marzo, del Covid si capiva ancora ben poco e la nostra ingenuità non ci faceva presagire il peggio (sportivamente parlando).
Tipo l’annullamento delle olimpiadi.
Ad inizio marzo, eravamo ancora tutti convinti di vedere l’esordio del 3×3 a Tokyo, con 8 nazionali maschili e 8 nazionali femminili. Prima del grande evento, dovevamo sapere chi ne avrebbe preso parte; due tornei di qualificazione avrebbero regalato gli ultimi biglietti per il Giappone e la nostra compagine femminile partiva come quarta testa di serie al primo pre-olimpico in programma. Un’impresa sicuramente difficile già soltanto per la pressione che mettono quei cinque cerchi colorati, ma sicuramente non proibitiva per una nazionale che è già salita una volta sul tetto del mondo, e nemmeno troppo tempo fa.
Insomma, eravamo rimasti bene, molto bene, quasi oltre le nostre aspettative, se pensiamo da dov’è partito il nostro movimento qualche anno fa, e in linea con il nostro orgoglio, se pensiamo a quanta passione hanno dedicato alcune persone.
Quindi ripartiamo da lì, e puntiamo in alto, perché abbiamo avuto parecchi mesi per sognare e fissare il vuoto dal nostro balcone di casa, e ne avremo altrettanti per trasformare quei sogni in qualcosa di concreto.
Come si fa? Non saprei, ma parliamone, ora.

La nostra nazionale diventata campione del mondo, a Manila, nel 2018.
(Foto da fiba3x3.com)

Perché in realtà non è rimasto proprio tutto fermo.

Qualche temerario si è visto anche quest’anno. I “semper fidelis” del nostro movimento si sono visti sul campo nelle poche occasioni offerte da altrettanti temerari organizzatori che sono riusciti a non far perdere del tutto le nostre abitudini estive.
Lo stesso ha fatto FIBA, riuscendo a tenere in piedi 4 tappe master che hanno decretato i 12 team che parteciperanno alle finali a Jeddah il 18 e il 19 dicembre.
Per non tradire le aspettative di questo sport, le sorprese non sono mancate, come gli ottimi piazzamenti dei team lituani (Utena e Sakiai), o un particolare cambio di rotta del metro arbitrale che ha visto molte partite con il bonus falli esaurito nella prima metà gara. Ci sarebbero molti spunti tecnici e di sviluppo delle squadre che andrebbero approfonditi, e indovinate un po’ cosa bisognerebbe fare affinché ciò avvenga.
Già, parlarne.
Ma non ora, prima vado a rivedere ancora una volta come Riga si è portata a casa il master di Doha…

L’esultanza del team Riga, al master di Doha.
(Foto da fiba3x3.com)

Perché male non fa.

Anzi…
Con buona probabilità, la maggior di voi che sta leggendo questo articolo, ha scoperto il 3×3 partecipando ad un torneo vicino a casa, dopo le richieste insistenti di un vostro caro amico che non ha mai giocato a basket, ma a cui piace un sacco bere birra e prendere il sole facendo sport, soltanto perché diventa una scusa buona per bere altra birra.
Avete approcciato questo mondo con il giusto mix di spensieratezza e agonismo, bilanciando sempre le delusioni per un risultato mancato, con il piacere per aver conosciuto nuove persone appassionate almeno quanto voi. L’avete fatto mettendovi in gioco e rischiando grosso, perché almeno una volta avete rinunciato ad una vacanza con gli amici o al week end di coppia organizzato da tempo, il tutto per uscire in semifinale dopo un supplementare perso per una bomba di tabella.


Sono forse proprio quei ricordi e quelle sensazioni che più ci mancano, che ci rallegravano una chiacchierata tra amici, e mai come in questo periodo, abbiamo bisogno di qualcosa che faccia stare bene, che non ci appesantisca troppo la testa, già piena di preoccupazioni, e che ci strappi un sorriso, che diventa quasi una risata, mentre pensiamo a ciò che abbiamo fatto e che ancora potremo fare.

Brent

Eravamo abituati bene.
Eravamo pronti ad affrontare un anno storico per il 3×3.
Per la nostra penisola, il 2020 doveva essere “l’anno dopo”. Molti pro team avevano scaldato i motori nel “Bayer FISB Tour” nell’estate del 2019, e si stavano attrezzando per farsi trovare ancora più pronti e agguerriti di prima, nel frattempo stavano nascendo nuove realtà che non vedevano l’ora di misurarsi nel basket di strada dei grandi, dove la birra tendenzialmente si beve a fine torneo e gli schemi non sono visti così male dagli avversari, tranne quando sono realmente efficaci, per ovvi motivi.
A livello mondiale, il 3×3 era finalmente pronto a esordire in quel di Tokyo, nella manifestazione regina di tutti gli sport, le Olimpiadi 2020.

Nonostante ciò, dal campetto dietro casa alla metà campo del World Tour, lo streetball ha continuato a conservare il suo status originale che lo ha reso popolare tra gli addetti ai lavori, non tralasciando dunque quella che è l’atmosfera frenetica, tanto di festa quanto competitiva, che ha sempre posto una linea sottile tra il dentro e il fuori dal campo, dove vincere è tanto importante quanto rendersi protagonisti di un’esperienza pressoché unica nel suo genere.

Ma in questo 2020, il tre contro tre si accostava in primis alla parola tanto odiata da organizzatori e giocatori, ovvero l’assembramento. E com’è giusto che fosse, dar vita ad una competizione sportiva per strada, diventava praticamente impossibile.
Anzi no.

Non per Davide Ardizzone che, a capo del suo staff di MiGames, ha lavorato per tutti i lunghi mesi di lockdown, e ha continuato a crederci anche quando l’estate diventava protagonista mentre ai campetti mancavano i tavoli per il check-in e gli arbitri ufficiali.
Così, nei due week end centrali di agosto, a Santa Margherita Ligure, è andato in scena il tour multi-sport più grande d’Italia, dove un campo da calcio, da beach volley e da basket hanno risvegliato dal lungo tepore numerosissimi sportivi da tutta Italia.

L’idea di giocare con le mani umide di igienizzante e di riprendere fiato dopo una partita con la mascherina sul viso, non ha intimorito nemmeno i pro team che, al contrario, hanno subito risposto “presente” alla possibilità di giocare dopo una lunghissima attesa.
A farla da padrona sono stati, senza dubbio, i “Fioi del campetto” e “Big Crew”, vincenti rispettivamente nel primo e nel secondo week end, capitanati dagli storici Alessandro Vecchiato e Niccolò Di Gianvittorio.

Servivano poi tutti gli altri per ridare vita agli aspetti tipici del nostro streetball che sta crescendo a vista d’occhio.
Rivalità, fisicità, tattica sul campo e condivisione tra avversari appena fuori. Il merito va a chi ci ha fatto tornare alle origini con la storica formazione presentata dai “Kings of Kings”, così come chi ha partecipato con la giusta spavalderia e curiosità delle squadre neofite come “Team Campas”, “Penguins”, “Evolution”, “The Chosen Ones”.

La cronaca delle partite, anche questa volta, rimane superflua. Ancora prima di vedere il risultato, volevamo vedere quello per cui eravamo abituati bene l’anno scorso.
Un livello di gioco in costante crescita e un format della competizione che fa felici minors e professionisti, caratteristiche ormai vincenti che ci rendono dipendenti da questi nuovi appuntamenti estivi.

Inutile nasconderlo, volevamo vedere anche le persone, che vengono prima del pallone giallo-blu e di tutto il resto. Soprattutto quelle che, nel corso degli anni, non ci hanno fatto rimpiangere di aver annullato una vacanza con la ragazza e gli amici, per passare una domenica sull’asfalto e sotto il sole.

Brent