È una tendenza personale, penso abbastanza comune a tutti.
L’arrivo del freddo invernale, nel periodo dell’anno più lontano dalla stagione dei tornei, ci porta quel tipo di nostalgia che riaffiora svariati ricordi delle giornate passate ai campetti. Ricordi belli, brutti, alcuni particolari che nemmeno pensavamo ci tornassero in testa, che ci incuriosiscono, che portano a sforzarci un po’ di più per far venire in mente com’era andata nel dettaglio.
La pandemia, quest’estate, ha interrotto la striscia di finali nazionali organizzate da FISB che andava avanti dal lontano 2011, togliendo a molti ballers un appuntamento fisso che ha profondamente condizionato la crescita e gli sviluppi del movimento 3×3 in Italia.

Quindi, per cercare quei ricordi, bisogna fare un salto un po’ più lungo nel nostro passato, e se si prendono male le misure del salto, si rischia di finire in quell’assurda volta che…

…C’erano i controller e le partite erano auto-arbitrate.

“Ragazzi, vi avverto, se continuate così, prendo il fischietto e vi arbitro io”.
C’è l’attimo in cui il ragazzo, incastrato per qualche birra in cambio dallo staff del torneo, brama pieni poteri sulla partita in corso e vuole dimostrare il suo carattere forte e deciso.
E poi c’è l’attimo un secondo dopo l’aver pronunciato quella frase, dove, lo stesso ragazzo, si rende conto di essersi appena rovinato i successivi 5 minuti del pomeriggio, oltre ad essersi condannato per una buona mezz’ora dove discuterà con il lungo di una delle due squadre, cercando di convincerlo che prendere la palla dopo aver preso braccio, mano, naso e occhio, è comunque fallo.

In molti tornei ci si affida ancora al fair play, un concetto tanto positivo quando si sposa perfettamente con l’idea di festa e amicizia che condiziona un evento di 3×3, quanto altrettanto difficile da gestire quando la competizione messa in campo è troppa e i giocatori non hanno sufficiente lucidità per auto-arbitrarsi.

Così è stato nei primi anni di FISB finals, con le squadre di tutta Italia che si incontravano per la prima volta e ancora molti giocatori e amici di oggi, che non si conoscevano. Si partiva con i gironi dove uno dei tanti obiettivi era guadagnarsi il rispetto come baller, e chiamare per sé troppi falli non era dunque un’opzione valida. Discorso assai diverso nella fase ad eliminazione diretta: un fallo a favore può essere decisivo per la vittoria, se vinci vai avanti, se perdi hai finito il torneo.

Ed è proprio lì che iniziano i momenti di enorme difficoltà per il ragazzo citato prima, che poi, chi è stato organizzatore di un qualsiasi torneo, potrei scommettere che è stato anche QUEL ragazzo…

Foto da FISB

…Si giocava con il “sei”.

S’intende il pallone, ovviamente.
Un po’ meno ovvia è invece la questione sul peso e la misura del pallone che si usa nel 3×3, soprattutto per chi è alle prime armi con questa nuova disciplina.
“Questo pallone è più piccolo”.
“Sì, cioè, pesa come un sei mai è grande come un sette”.
“No no, secondo me è più piccolo”.
“Esatto, ti sto dicendo che pesa come un sei ma è grande un sette”.
“No, ti sbagli. Guarda…”
Due airball da fuori, una mattonata sul tabellone e una serie di finte e giochetti tenendo la palla con una mano sola. Vorresti spiegargli che è anche per le scanalature che avviene tutto ciò, ma sarebbe troppo complicato.
Prima o poi si convincerà, forse…

Eppure c’è stata quella volta che il pallone era effettivamente più piccolo. Era in un periodo di piena sperimentazione per FIBA, che sconvolse il fronte maschile del 3×3, senza esaltare invece quello femminile dato che, prima del pallone unico, c’era ancora la distinzione delle due misure che accontentava tutti.

Giocare con il sei non era poi così male per chi faceva del ball-handling la sua arma migliore, era abbastanza apprezzato dai lunghi che potevano provare le stesse sensazioni di Shaquille O’Neal nel tenere la palla con una mano, era invece la peggior cosa potesse mai accadere a un tiratore. Immaginate un giocatore che si è allenato per nove mesi a tirare sempre con la stessa palla, nella sua palestra, prendendo i dovuti riferimenti con il canestro, e si ritrova in riva al mare, col vento, gli ombrelloni dietro il tabellone, e la palla che pesa di meno.

Nel 2016, FIBA risponde alle numerose lamentele ricevute, mettendo in campo il pallone Wilson che usiamo tuttora. Ciò che è successo prima, però, rimarrà comunque nella storia, nel bene e nel male.

Nel “male che veramente, dai, non scherziamo”, è successo anche questo.

…C’era il check prima di ogni azione.

DI OGNI AZIONE.
Pensate al 3×3 di oggi, rapido, frenetico, estenuante, senza pause se non per un fischio dell’arbitro. Pensate alla fatica di un lungo che si trova accoppiato con un piccolo oppure deve uscire dall’area prima dell’avversario per un canestro veloce, pensate alla fatica di un piccolo che, dopo aver segnato da dentro l’area, deve aver fortuna nel trovare subito il giocatore rimasto libero per non concedergli un comodo tiro da fuori.

Adesso immaginatevi l’esatto contrario, che corrisponde esattamente a come tutto è iniziato alle prime FISB finals, qua in Italia.

Un modo di giocare lento, statico, talvolta monotono a causa delle poche soluzioni che si potevano trovare in attacco, con un equa distribuzione dei tiri tra i lunghi, che facevano a sportellate in post, e i piccoli che tiravano sugli scarichi.
I più nostalgici ricorderanno il dominio, nei primi anni, dei “Wizze&Lozze”, caratterizzato dalle giocate in post del gigante Patrice Temoka, l’energia infinita di un giovane Joao Kisonga, e le mani educate di grandi tiratori come Andrea Cerri, che hanno portato, alla squadra toscana, i primi due titoli nazionali assegnati da FISB.
(qui le foto di tutti i vincitori delle finali targate FISB http://www.fisb-streetball.it/hall-of-fame/)

Foto da FISB

Ma cosa c’era di così diverso, da far sembrare il 3×3 di una volta, uno sport quasi completamente diverso da quello di oggi?
Il check.
Sempre.
Dopo un canestro, dopo un cambio di possesso, dopo che uno andava in bagno, dopo aver ordinato una birra, dopo i pasti. In un momento di confusione, fare un check con l’avversario poteva essere la cosa più giusta, metteva d’accordo tutti, faceva riprendere fiato, il piccolo tornava a marcare il piccolo e il lungo tornava a marcare il lungo, il primo non rischiava di trovarsi in situazioni spiacevoli dentro l’area, il secondo montava una tenda con l’avversario nello spazio dove oggi c’è disegnato lo smile.

Poi le cose sono cambiate, il 3×3 è diventato lentamente quello che vediamo e giochiamo oggi, dove per competere ad alti livelli, devi essere un all-around player dal punto di vista tecnico e fisico, devi esser capace di fare tutto, e farlo pensando in fretta.
Ricordiamoci però da dove siamo partiti, che magari non eravamo ancora così bravi a fare quel “tutto”, ma per fare il check, eravamo tutti fortissimi.

Brent

Eravamo abituati bene.
Eravamo pronti ad affrontare un anno storico per il 3×3.
Per la nostra penisola, il 2020 doveva essere “l’anno dopo”. Molti pro team avevano scaldato i motori nel “Bayer FISB Tour” nell’estate del 2019, e si stavano attrezzando per farsi trovare ancora più pronti e agguerriti di prima, nel frattempo stavano nascendo nuove realtà che non vedevano l’ora di misurarsi nel basket di strada dei grandi, dove la birra tendenzialmente si beve a fine torneo e gli schemi non sono visti così male dagli avversari, tranne quando sono realmente efficaci, per ovvi motivi.
A livello mondiale, il 3×3 era finalmente pronto a esordire in quel di Tokyo, nella manifestazione regina di tutti gli sport, le Olimpiadi 2020.

Nonostante ciò, dal campetto dietro casa alla metà campo del World Tour, lo streetball ha continuato a conservare il suo status originale che lo ha reso popolare tra gli addetti ai lavori, non tralasciando dunque quella che è l’atmosfera frenetica, tanto di festa quanto competitiva, che ha sempre posto una linea sottile tra il dentro e il fuori dal campo, dove vincere è tanto importante quanto rendersi protagonisti di un’esperienza pressoché unica nel suo genere.

Ma in questo 2020, il tre contro tre si accostava in primis alla parola tanto odiata da organizzatori e giocatori, ovvero l’assembramento. E com’è giusto che fosse, dar vita ad una competizione sportiva per strada, diventava praticamente impossibile.
Anzi no.

Non per Davide Ardizzone che, a capo del suo staff di MiGames, ha lavorato per tutti i lunghi mesi di lockdown, e ha continuato a crederci anche quando l’estate diventava protagonista mentre ai campetti mancavano i tavoli per il check-in e gli arbitri ufficiali.
Così, nei due week end centrali di agosto, a Santa Margherita Ligure, è andato in scena il tour multi-sport più grande d’Italia, dove un campo da calcio, da beach volley e da basket hanno risvegliato dal lungo tepore numerosissimi sportivi da tutta Italia.

L’idea di giocare con le mani umide di igienizzante e di riprendere fiato dopo una partita con la mascherina sul viso, non ha intimorito nemmeno i pro team che, al contrario, hanno subito risposto “presente” alla possibilità di giocare dopo una lunghissima attesa.
A farla da padrona sono stati, senza dubbio, i “Fioi del campetto” e “Big Crew”, vincenti rispettivamente nel primo e nel secondo week end, capitanati dagli storici Alessandro Vecchiato e Niccolò Di Gianvittorio.

Servivano poi tutti gli altri per ridare vita agli aspetti tipici del nostro streetball che sta crescendo a vista d’occhio.
Rivalità, fisicità, tattica sul campo e condivisione tra avversari appena fuori. Il merito va a chi ci ha fatto tornare alle origini con la storica formazione presentata dai “Kings of Kings”, così come chi ha partecipato con la giusta spavalderia e curiosità delle squadre neofite come “Team Campas”, “Penguins”, “Evolution”, “The Chosen Ones”.

La cronaca delle partite, anche questa volta, rimane superflua. Ancora prima di vedere il risultato, volevamo vedere quello per cui eravamo abituati bene l’anno scorso.
Un livello di gioco in costante crescita e un format della competizione che fa felici minors e professionisti, caratteristiche ormai vincenti che ci rendono dipendenti da questi nuovi appuntamenti estivi.

Inutile nasconderlo, volevamo vedere anche le persone, che vengono prima del pallone giallo-blu e di tutto il resto. Soprattutto quelle che, nel corso degli anni, non ci hanno fatto rimpiangere di aver annullato una vacanza con la ragazza e gli amici, per passare una domenica sull’asfalto e sotto il sole.

Brent

Qualche amico riunito in una hall di un albergo e un obiettivo molto chiaro: dare seguito al movimento cestistico post stagionale. Questi sono stati i due principali ingredienti che hanno dato vita al Downtown Basketball ad Aprilia, in provincia di Latina.
L’idea era quella di proporre qualcosa di diverso dal solito format del 5vs5, già esasperato nei mesi invernali, e la soluzione non poteva che ricadere sul mix vincente di divertimento e competizione offerto dal 3×3, caratteristiche tipiche del movimento già dal 2012, ovvero l’anno della prima edizione del DTB.

Agli inizi, oltre alla difficile scelta del nome con chiaro riferimento al tiro dalla lunga distanza, Mauro Giancarli trova quella che sarà la loro casa per ben sei edizioni su otto, ovvero il campetto cittadino appena realizzato e accompagnato da una lunga tribuna molto capiente.
I lavori svolti duranti gli anni dai volontari del comitato di quartiere Aprilia Nord, poi, hanno fatto in modo che l’Arena sia diventata una vera e propria bomboniera, dotata di recinzioni, spazi verdi, il tutto sempre molto pulito e ordinato.

L’attenzione e la cura per i dettagli sono un punto di forza già dalla loro prima edizione. Uno degli elementi che sicuramente li ha contraddistinti dagli altri tornei 3×3 è stata l’idea di introdurre, mediante uno staff molto paziente, il sistema delle statistiche: in ogni partita sono stati registrati punti, rimbalzi e assist di ogni singolo giocatore iscritto, riuscendo alla fine a stilare le varie classifiche di “miglior realizzatore”, “miglior rimbalzista” e “miglior assistman”.

Gli anni successivi sono invece il perfetto esempio di come cercare di migliorarsi mantenendo salda la propria identità per iniziare a farsi un nome superando i confini del proprio territorio.
Nel 2015, Mauro esporta il nome DTB anche a Latina, organizzando un vero e proprio circuito coinvolgendo molte realtà provinciali che avrebbero poi confluito, con la loro squadra vincente, ad una sorta di finale regionale ad Aprilia, con l’obiettivo di mandare la squadra migliore alle finali nazionali FISB.

L’anno successivo c’è spazio anche per il femminile mentre le categorie junior e under vengono riconfermate dopo il successo dell’anno precedente. Ad alzare il livello del torneo, ci pensano i giocatori stessi, dando vita a una delle finali migliori tra tutte le edizioni, grazie alla presenza, sul campo, di giocatori professionisti e, soprattutto, subito pronti al ritmo intenso del 3×3.

Come spesso accade, anche lo staff apriliano riconosce la necessità di cambiare location per dare qualcosa in più al torneo. L’idea è sorta per valorizzare ancora di più un’area verde (Parco Friuli) dal grande potenziale, che ha accolto a braccia aperte la manifestazione, donando alla stessa una cornice sicuramente migliore e più funzionale al concetto street.

Infine pare d’obbligo citare l’enorme lavoro svolto da Mauro Giancarli, non soltanto come fondatore del Downtown Basket, ma come parte attivissima che ogni anno contribuisce alla crescita del movimento 3×3 in tutta Italia.

Oltre a essere referente regionale per conto di FISB da ormai parecchi anni, ha creato un team omonimo al suo torneo che, l’anno scorso, ha preso parte al primo Pro Tour italiano di tre contro tre, riuscendo a strappare buoni risultati sul campo e anche molte simpatie sui social.

Dunque, se grazie alla loro nome, sappiamo da dove sono partiti, è lecito aspettarsi che il futuro, in quel di Aprilia, possa riservare ancora numerose sorprese.

Andrea Antoniotti

“Buongiorno signor Jordan, la ringrazio molto per aver accettato il mio invito.”
“Ciao, figurati.”
“Possiamo darci del tu?”
“Darci cosa?”
“Ah giusto, in inglese non esiste dare del lei, ma dato che l’intervista è scritta in italiano, mi sembrava cortese chiederlo.”
“Fai come vuoi.”
“Possiamo iniziare?”
“Vai, parliamo un po’ della triangle offense.”
“Come scusa? L’intervista è sul 3×3.”
“Appunto, non è una variante moderna dell’attacco di Tex Winter?”
“Ehm, no. Non c’entra nulla, il 3×3 è un altro sport.”
“Simile al baseball?”
“No, non c’entra nulla nemmeno col baseball. E’ molto simile alla pallacanestro. Deduco quindi che non hai letto le domande che ti ho spedito la settimana scorsa.”
“No, perdonami. Ero molto preso dagli allenamenti, devo rimettermi in forma.”
“Davvero? Ci stai per svelare un tuo grande ritorno?”
“Non so ancora di preciso cosa fare, ma non ho digerito bene alcune dichiarazioni dopo l’uscita di The Last Dance. Horace Grant, Isiah Thomas, tutti bravi a parlare, ma poi sul campo…”
“Sai che il 3×3 potrebbe essere l’occasione giusta?”
“Dimmi di più.”

La curiosità gli ha fatto passare il rossore agli occhi.

“Si gioca a basket tre contro tre con un canestro solo e una palla un po’ più piccola. Ci sono moltissimi tornei in giro per il mondo e il livello delle squadre sta crescendo.”
“Provo a metter su una squadra. Si vincono soldi?”
“Purtroppo non molti per ora. Sicuramente non le cifre a cui sei abituato tu.”
“Scottie Pippen è il primo. Saranno comunque più soldi di quelli a cui era abituato lui.”
“Frecciatina…”
“Poi? Mi serve sapere altro.”
“I punti valgono uno e due, il tiro da fuori è spesso decisivo nelle partite punto a punto.”
“Steve Kerr, preso. Sa fare solo quello.”
“Bene, ti serve ancora un quarto giocatore. Il 3×3 è un gioco molto faticoso ed è importante avere un cambio sempre pronto a dare energia alla squadra.”
“Dennis Rodman, ma ci parli tu.”
“Sarebbe un onore.”
“Aspetta e vedrai. Ah, e ovviamente ci allena Phil Jackson.”
“Teoricamente il 3×3 non prevede la figura dell’allenatore durante una part…”
“Ho detto che ci allena Phil Jackson.”
“Chiaro, volevo dire che l’allenatore vi segue da fuori e successivamente…”
“VOGLIO PHIL JACKSON.”
“Se mi lasci finire, sto provando a spiegarti che l’allenatore…”
“DEVE ESSERE PHIL JACKSON.”

“Ciao Phil, ti devo parlare.”
“Ma mi stai dando del tu?”
“No scusa, cioè, prima con Michael dicevamo che in inglese non…”
“Guarda che leggo i sottotitoli di ciò che dici sopra la tua t-shirt nera.”
“Ma quindi lo sapevi???”
“Sapevi, cosa?”
“Niente, te lo spiegheranno tutti quelli che hanno visto “The Last Dance” con i sottotitoli. Veniamo a noi, Michael vuole tornare a giocare, più precisamente, a basket 3×3.

Si dice che, indossando questa camicia, abbia svelato il segreto della Triangle offense, senza mai farsi scoprire.

“Naahh, non potrebbe mai vincere in quello sport.”
“Non c’è bisogno che gliela metti sul personale, ci hanno già pensato altri.”
“E allora a cosa servo?”
“Ti vuole come allenatore.”
“Ma nel 3×3 non c’è l’allenatore.”
“È quello che ho provato a spiegargli, ma lui non ne vuole sapere.”
“In qualche modo si può fare, ma prima di accettare voglio sapere chi ci sarà in squadra.”
“Oltre a MJ, ci saranno Pippen, Kerr…”
“Molto bene.”
“…e Rodman.”
“Ma ci parli tu.”
“Non capisco dove sia il problema.”
“Prego, è di là che ti aspetta.”

“Ciao Dennis, scusa se ti do del tu, se vuoi ti do del lei, ma ho già parlato con Michael e Phil e quindi…”
“Ehiiii fratello!!! M***a che faccia triste che hai, rilassati un po’ e take it easy!”

…mentre leggeva il Pagellone del tour master dell’anno scorso.


“Non sono triste, ero solo preoccupato che…”
“Non sarai mica uno di quei cog****i che è venuto a rompermi il c***o con quelle domande sui Bulls e tutto il resto?”
“No guarda, venivo a proporti di giocare alcuni tornei 3×3 con Michael, ti spiego come funziona…”
“Ma va! Se al campione va bene, va bene anche a me. Quello decide sempre che c***o gli pare e se provi a dirgli di no, si inc***a di brutto, più di me.”
“Perfetto allora! Ma cosa ne pensi di questa nuova disciplina che esordirà alle Olimpiadi?”
“Ma che c***o me ne frega! Lo sai cosa interessa a me, sc****e, bere e sc****e. Sc****e l’ho già detto?
“Sì Dennis, l’hai già detto. È che speravo di avere una tua risposta senza dover mettere asterischi.”
“Allora vai da Steve. Quel cu*o bianco ti darà tutte le risposte a modo che vuoi.”

“Steve!”
“Ciao Brent.”
“Ma ci conosciamo?”
“Certo che no. Ma ti sei firmato nel messaggio che mi hai scritto per fissare
questo incontro.”
“Giusto, scusami. L’ultima chiacchierata che ho avuto con Dennis mi ha un po’ sconvolto.”
“Non ti preoccupare, è normale.”
“Dunque, Michael sta organizzando una squadra…”
“Sì certo, ho letto sempre nello stesso messaggio la proposta che stavi per farmi.”
“Ah molto bene, dice che gli faresti comodo perché nel 3×3 il…”
“…tiro da fuori vale doppio, ho letto il regolamento.”
“Wow, e dice anche che, considerando le spaziature diverse…”
“Si aspetta che io mi trovi al posto giusto, al momento giusto, come sempre.”
“Esatto! Quindi accetti?

La produzione non poteva prestargli una maglietta dei Bulls???

“Ti ho già risposto per messaggio mentre mi fissavi la maglietta dei Warriors che ho addosso.”
“Ah ecco, è che proprio mi stavo chiedendo…”
“Come ho fatto a vincere tutti quegli anelli anche da allenatore?”
“No. Come avete fatto a perdere in finale l’anno che avete fatto 73-9. E io ero pure venuto a vedere la 70esima W. Mannaggia a voi…”
“Prego, puoi andare.”

“Eccoci, manchi soltanto tu!”

“Scottie!”

“Pip”
“…è che ho qualcosa tra i denti.”
“Guarda che non è vero.”
“Eppure lo sento.”
“Anche se lo senti, ti garantisco che non si vede.”
“Se lo dici tu.”
“Per il resto tutto, bene?”
“Mai stato meglio.”
“Sicuro? Schiena? Caviglia?”
“Benone, davvero. Perché?”
“Mike vuole tornare a giocare.”
“In effetti, qua, nella zona lombare…”
“Ma si tratta di 3×3, tornei di un week end dove si vincono soldi.”
“…dicevo, soprattutto qua nella zona lombare, ho fatto potenziamento muscolare l’altro ieri.”
“Pochi soldi, è un movimento ancora in crescita.”
“È che proprio da stamattina, sentivo delle fitte al piede…”
“Ma puoi prenderti la fetta che spetta a Dennis, nella sua lista degli interessi, non parlava di dollari.”
“…che poi sono passate appena ho iniziato le ripetute in salita.”
“Direi che ci siamo.”

Senza il suo sorriso, ho finalmente notato il colore della sua polo

“Devi però aiutarmi. Per una volta, quando capiterà, voglio prendere io il tiro decisivo. Come posso fare?”
“Semplice. Ti capiterà soprattutto nel supplementare, prima squadra che fa 2 punti, vince. Fingi di chiamare uno schema per Michael e ricevi tu il check. Non lo guardi nemmeno. Tiri appena hai la palla in mano. Io di solito faccio così.”
“E funziona?”
“No. Quando va bene, prendo il ferro, rimbalzo loro, pessima difesa e canestro da fuori preso in faccia.”
“La difesa non è un problema per me. Recupero palla e tiro finchè non segno.”
“Così andrà alla grande, ottima idea.”
“Ti ringrazio, contatemi pure.”

“Mike, ci siamo. O meglio, ci siete, la squadra è pronta.”
“Direi di sì, non vedo l’ora.”
“Mi sembri parecchio carico, chissà se qualche squadra avrà il coraggio di sfidarvi.”
“Se pensi di essere pronto, puoi essere tu il primo avversario.”
“Wow!!! Sarebbe incredibile!!! Ma dovrei dormire ancora parecchio per far continuare questo sogno.”
“Un sogno che potrebbe diventare realtà.”
“Stai scherzando????”
“Sì, e adesso vedi di svegliarti, che è tardi. Alla tua età avevo già vinto un anello.”
“Io, alla playstation, ne ho già vinti più di te.”
Get_Up_Byron_23. Aggiungimi appena ti svegli.”
Un_altro_whiskey_grazie_96. Sarà fatto. A presto.”
“A presto.”

Non siamo a New York e non c’è nessun aneddoto di Earl Manigault da raccontare. In Piemonte, la parola “The Goat”, rimanda molto più facilmente allo storico torneo organizzato in provincia di Torino da addirittura 8 anni.
Il primo motivo che ha reso questo evento tra i più longevi in zona, è sicuramente la ricerca costante di trovare ogni anno qualcosa da migliorare rispetto all’edizione precedente. Il triplice cambio di location ne è una prova lampante.

Per Carlo Sardella e il suo staff, tutto ebbe inizio in un campetto a Orbassano, sempre in provincia di Torino, per poi spostarsi lungo la cintura del capoluogo, passando da un centro privato che poteva ospitare fino a sei metà campo e infine arrivando a montare i campi in una delle principali piazze di Rivalta di Torino.

Anche sui campetti marchiati “The Goat” si gioca per divertirsi, ma quando si vince, ci si diverte sicuramente di più, e i ballers che si presentano a questo torneo, lo sanno bene.
Dalla prima edizione, una formula sempre precisa e un regolamento ufficiale sempre aggiornato con i cambiamenti che il 3×3 ha subito nel corso degli anni, hanno garantito un alto livello di competizione che ha attirato l’attenzione dei migliori giocatori in regione.

La crescita a inizio decade del movimento cestistico all’ombra della Mole Antonielliana, ha portato un aumento a cascata del livello di giocatori e società, così come molti ballers hanno deciso di sfruttare la vetrina di vari tornei prestigiosi per poter strappare un contratto migliore nel campionato di 5vs5.
“The Goat Streetball” rientra certamente tra le migliori vetrine sotto questo aspetto, riuscendo a farsi conoscere grazie anche agli ottimi risultati ottenuti dalle sue squadre alle finali nazionali.

Lo staff rivaltase non ha comunque dimenticato l’importanza di dover puntare con le stesse energie su qualità e quantità.
Ne è a dimostrazione l’edizione del 2017, con 54 squadre iscritte, 6 metà campo a disposizione e un numeroso pubblico che, oltre a seguire l’andamento del torneo sempre più avvincente man mano che ci si avvicinava alle finali, si è lasciato trascinare dall’energia di un inedito Slam Dunk Contest dove vi hanno preso parte emergenti dunker locali.

Numeri importanti che, di riflesso, hanno contribuito alla crescita di una categoria che spesso in molti si dimenticano: gli arbitri. Al “The Goat” la priorità è stata sempre quella di avere arbitri ufficiali con una conoscenza completa del regolamento, sapendo che l’esperienza sul campo e il confronto con i giocatori, sono i modi migliori per garantire un percorso di qualità anche a loro.

Per il futuro, i dubbi sono pochi e le idee sono chiare. Carlo ha sempre seguito con attenzione ogni piccolo passo del movimento 3×3 in Italia, con la convinzione di poter raggiungere importanti risultati promuovendo il basket di strada come la nuova disciplina che esordirà alle Olimpiadi di Tokyo.

Lo spirito di aggregazione e l’atmosfera streetball vengono di conseguenza, grazie al desiderio di molti giocatori che, dopo nove mesi chiusi in palestra, preferiscono conoscersi meglio stando seduti sotto un albero e bevendo una birra fresca dopo aver appena giocato.

Andrea Antoniotti